domenica 15 febbraio 2009

28 gennaio a piazza Farnese: "Io so"

Il 28 gennaio 2009, la mattina di un giorno feriale, 30.000 persone si sono incontrate a piazza Farnese per solidarizzare con i magistrati di Salerno, sospesi o trasferiti dal CSM per aver osato scoperchiare il marcio che c'era nella procura di Catanzaro.. Questo è un testo che ho scritto sulla manifestazione, per il blog di un amico francese. Poi ero talmente stomacata dalla disinformazione che è circolata sull'evento che ho vinto il panico nei confronti della tecnologia e ho aperto questo coso... questo blog, per dare anche qui la mia versione dei fatti.
Per me è stato terapeutico...




Il cielo di Roma quando è sereno diventa una bandiera, con il suo blu uniforme, luminoso, splendido. Oggi se ne sta sospeso sull’atmosfera limpida di una fredda mattina di gennaio. Nel Centro serpeggiano mille vicoli, intrecciandosi in percorsi disordinati. I sampietrini delle strade, il travertino dei muri, semplici, familiari, le botteghe studiatamente rustiche; un borgo medievale al centro di una metropoli. Per il visitatore intento a districarsi tra queste stradine ombrose e rassicuranti piazza Farnese si dischiude all’improvviso, con le sue proporzioni grandiose, le due fontane dai cui gigli marmorei fiottano alti zampilli d’acqua e al centro l’elegante palazzo rinascimentale che si staglia sull’azzurro. Papa Paolo III, che era una personcina discreta, si comprò tutte le residenze cardinalizie che cingevano questo slargo, per raderle al suolo e ricostruire tutto da zero, elesse a sua dimora una piazza e a progettista un Michelangelo. Sulla facciata rette e curve si rincorrono in un equilibrio rasserenante, sul cornicione teste di leone ci osservano inespressive, dal balcone centrale la bandiera francese sventola beffardamente sui nostri nasi.
È venuta un sacco di gente alla manifestazione organizzata dall’Associazione Nazionale Familiari delle Vittime di Mafia per protestare contro l’ennesimo caso, a Salerno, di rimozione di magistrati rei di essersi occupati di uno scandalo enorme che sta emergendo in Calabria, ma più in generale contro i provvedimenti del governo in materia di giustizia.
Un governo che in campagna elettorale ha cavalcato senza troppi scrupoli il tema della sicurezza: non si poteva accendere la televisione (canali Mediaset in particolare) senza venire assaliti da un bombardamento di notizie tutte dello stesso genere –stupri, furti in appartamento, pestaggi, scippi, solitamente con immigrati come artefici- che fino a poche settimane prima non avrebbero trovato spazio in un tg neppure dopo la rubrica di cucina. Salvo poi, vinte le elezioni, avanzare tra le sue prime proposte una drastica limitazione dell’uso giudiziario delle intercettazioni e un decreto per sospendere per un anno tutti i processi, che fossero ancora al primo grado, relativi a reati compiuti prima del giugno 2002 e puniti con pene inferiori a 10 anni (curiosamente vi sarebbe rientrato il processo Mills a carico di Berlusconi per corruzione in atti giudiziari, insieme ad altri 100.000 processi circa, per una lunga serie di reati terrificanti1). Un governo che è già riuscito a far promulgare una legge sull’immunità delle alte cariche dello Stato, con una velocità fulminea (25 giorni) ripetto ai tempi geologici nei quali solitamente incorre la discussione delle leggi nel nostro Parlamento: il Lodo Alfano, unicum nel mondo occidentale sia perché protegge il Presidente del Consiglio, e non solo il Capo dello Stato, sia perché copre i reati extrafunzionali (in effetti Berlusconi è imputato per reati commessi per i fatti suoi, mica nello svolgimento del suo mandato).
Questa schizofrenia sul tema della sicurezza non è nuova alla classe politica berlusconiana, che ha sempre potuto conciliare con disinvoltura, visto che l’informazione non fa notare il paradosso, da una parte la propaganda della tolleranza zero, con toni da giustizia sommaria che assecondano una diffusa percezione di insicurezza, dall’altra l’approvazione di una cascata di leggi, sempre concepite con un tempismo provvidenziale per qualche imputato eccellente, che negli ultimi quindici anni hanno reso altamente improbabile l’eventualità che chi delinque in Italia sconti una pena. Qualche esempio:
- Berlusconi è imputato nel processo “All iberian”2 , in quello Sme e in quello “Consolidato gruppo Fininvest”3,e condannato in primo grado nel processo Lentini4, in tutti e quattro i casi per falso in bilancio. Nel 2002, tra i suoi primi atti di governo, cambia la legge sul falso in bilancio, trasformando i suoi reati in semplici illeciti sanabili con una contravvenzione e riducendo, per la parte rimasta reato, i tempi di prescrizione (erano 7 anni, aumentabili fino a 15; sono diventati 4). I quattro processi, almeno i tronconi relativi a tale reato, vengono così stralciati.
- Berlusconi è coinvolto in una serie di processi che rischiano di arrivare a sentenza prima della prescrizione: il processo“All Iberian” per finanziamento illecito ai partiti4 e falso in bilancio (nella parte per cui è rimasto reato), “Sme” e “Mondadori” per corruzione giudiziaria. Il suo governo sforna una serie di leggi che allungano i tempi processuali: la Cirami5 che facilita lo spostamento dei processi, approvata con regime transitorio, cioè con immediata applicabilità ai processi in corso; la legge sulle rogatorie; il ddl Pittelli, poi non convertito in legge, che riformava il modello processuale:con tutta una serie di accorgimenti che sembravano fatti apposta per trasformare la magistratura in una fabbrica di prescrizioni6.
La più eclatante, la legge Ex-Cirielli, nel 2005 dimezza i termini di prescrizione. Reagisce come in chimica alle leggi allunga-processi trasformandosi in impunità: solo nell’anno della sua entrata in vigore provoca la prescrizione di 35.000 processi in più dell’anno precedente. Un minimo di 35.000 delinquenti che la fanno franca, anche per reati gravissimi come stupro, sequestro di persona, furto, associazione a delinquere, frodi fiscali, corruzione, violenza privata, sfruttamento della prostituzione e tutti gli altri reati che si prescrivono in dieci anni. Oggi il 95% dei processi in Italia si concludono con sentenza di non luogo a procedere per prescrizione. In compenso tra questi compaiono i processi,“All Iberian” e “Mondadori”. C’è ancora un problemino: al braccio destro di Berlusconi, Cesare Previti, già condannato a cinque anni in primo e secondo grado per corruzione giudiziaria al processo Sme7, la Cassazione sta anche per confermare una condanna a sei anni e mezzo per il processi IMI-SIR, sempre per corruzione giudiziaria, Nulla che non si possa risolvere… Anche per non creare equivoci sul perché della ex-Cirielli, si è aggiunto all’ultimo un emendamento: chi ha più di settant’anni non va in galera, resta ai domiciliari. Previti, ne aveva appena compiuti settantuno (il giornalista Marco Travaglio ci ride su: “più che una legge un regalo di compleanno…”).
- Berlusconi, salvatosi in primo grado, grazie alla prescrizione, al processo Sme per corruzione giudiziaria, deve affrontare il giudizio d'appello: lì i giudici potrebbero accogliere il ricorso dei pm, negandogli le attenuanti generiche e condannandolo. Nel gennaio 2005 la Legge Pecorella, dichiarata poi incostituzionale, abolisce la possibilità per l’accusa di ricorrere ai gradi superiori di giudizio. Prende il nome dal deputato e avvocato di Berlusconi. In perenne transumanza dalla Camera al tribunale di Milano, comprensibilmente confuso, difende il suo cliente con le leggi in Parlamento anziché con le arringhe nelle sedi adeguate.
- Berlusconi, appena tornato al governo, è indagato nel processo Mills, vicinissimo a sentenza, per corruzione in atti giudiziari. Rischia sei anni. Propone la famosa blocca-processi (quella che ne avrebbe sospesi per un anno 100.000). Ma è solo terrorismo: dinanzi a un tale rischio di paralisi del sistema giudiziario, la sinistra e l’Associazione Nazionale Magistrati accettano senza troppe storie il Lodo Alfano, che sospende i processi a carico del premier per la durata del mandato. E dopo? Che fare per quando riprenderà il processo? Ecco allora che il Consiglio dei ministri dà il via libera al DDL sulla riforma del processo penale: strapotere delle difese rispetto al giudice nell’ammissione delle prove, pena la nullità del processo stesso; ampi poteri del Ministero della Giustizia sulle toghe, il cui lavoro sarà monitorizzato di continuo; più possibilità di ricusazioni del giudice e di astensioni sull’imputato; ma soprattutto l’impossibilità di acquisire le sentenze definitive in altri processi ai fini della prova del fatto in esse accertato. Così quando saranno finiti la legislatura e gli effetti congelanti del Lodo e riprenderà il processo Mills, i fatti accertati nella sentenza che sta per essere emessa contro il solo avvocato Mills (la posizione del premier è stata stralciata e verrà ripresa in un diverso processo, finito il mandato) -ovvero, probabilmente, l’avvenuta corruzione- non potranno essere utilizzati contro Berlusconi. Pazienza se la norma in questione avrà effetti collaterali pazzeschi in termini di rallentamento di qualunque processo (ad esempio in un processo per mafia si rischierebbe di dover provare ogni volta che la mafia esiste).
Ecco il Capo del governo che avrebbe smantellato la criminalità. Ma soprattutto, ecco gli effetti dei suoi guai processuali sulla sicurezza dei cittadini: allargare le reti del sistema giudiziario per far scappare qualche pesce grosso ha reso impossibile prendere anche i pesci rossi.

Ecco perché oggi siamo qui. Ecco perché la piazza è piena di gente, nonostante nessun giornale abbia riservato una sola riga per avvisare di questa manifestazione. Sul palco si alternano intellettuali, giornalisti, esponenti delle associazioni anti-mafia. Il solito manipolo sparuto di personaggi pubblici che ancora non si adeguano all’attitudine servile e rassicurante che ha assunto l’informazione in Italia. Sempre le stesse facce…
“Oggi abbiamo chiamato a raccolta la società civile per far riscoprire alla gente le proprie responsabilità”. Afferma semplicemente, senza toni da comizio, Sonia Alfano, una delle promotrici, figlia del giornalista ucciso dalla mafia e rappresentante regionale del movimento E Adesso Ammazzateci Tutti (nato dopo l’omicidio Fortugno, da qui il nome). La Alfano rappresenta tutta una categoria di persone, i familiari delle vittime di mafia, inferocita contro la miriade di leggi allunga-processi che hanno spesso assicurato l’impunità a quel genere di criminali che i loro parenti combattevano, contro il progetto di legge per limitare le intercettazioni, spesso decisive nei processi per mafia, contro la martellante delegittimazione della magistratura. Fa appello al senso di responsabilità per il quale la società civile dovrebbe difendere la propria Costituzione, che invece viene violata ogni giorno, pretendere un Paese democratico, indignarsi di fronte al fatto che pregiudicati, indagati o amici di mafiosi possano occupare le istituzioni7, di fronte a un Presidente del Senato che fu socio in affari nella Sicula Broker col boss mafioso Nino Mandalà, o a un ministro della Giustizia Alfano (il tristemente noto del Lodo, vero mandante del trasferimento dei giudici di Salerno), conosciuto alle cronache per aver baciato Croce Napoli, boss di Cosa Nostra; rivendica che quella di oggi, al di là di come la presenterà la stampa, non vuole essere una manifestazione contro le istituzioni, ma contro i delinquenti che le occupano. Quando invoca con forza la necessità di cambiare radicalmente questo Paese si levano molte voci: “Come?”. La Alfano si volta in direzione delle grida: “Come? Parlando! Informado! Controllando quello che ci succede intorno, nei nostri Comuni! La manifestazione di oggi… io mi auguro che l’informazione la riporterà senza distorsioni, me lo auguro, lo dico da figlia di giornalista. Ma voi filmatela, fatela circolare su internet!”.

Chiama sul palco alcuni parenti di vittime della mafia, che uno dopo l’altro raccontano le loro storie. Tra questi c’è Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il giudice protagonista insieme a Falcone del maxiprocesso di Palermo, che alla fine degli anni ‘80 portò alla condanna di più di 400 esponenti di Cosa Nostra, ucciso insieme a tutti i ragazzi della scorta nella “strage di via d’Amelio” del 1992. I processi sulla sua uccisione hanno gettato una luce inquietante sulla storia dei rapporti tra mafia e Stato in quegli anni; sono inciampati in indizi di trattative tra esponenti delle istituzioni e di Cosa Nostra, che in quel periodo, con le bombe di Milano, Roma , Firenze, Palermo, avviava una strategia terroristica per costringere lo Stato a un nuovo accordo di non belligeranza e coabitazione con la mafia8 (essendo i vecchi equilibri saltati a causa della travolgente attività investigativa di Falcone e Borsellino e dello scandalo di Mani Pulite che stava spazzando via i tradizionali referenti politico-istituzionali di Cosa Nostra); ha ricostruito coincidenze che suggeriscono la collaborazione di servizi segreti deviati nell’attentato di via d'Amelio. Perché dalla sede segreta del Sisde (i servizi segreti civili) a Castel Ultoveggio, pochi secondi dopo la strage, da un’utenza clonata intestata allo stesso Borsellino, parte una telefonata diretta a Bruno Contrada, capo del Sisde a Palermo oggi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa? Perché mentre la polizia ancora arranca per capire cosa sia successo e persino dove, il Sisde è gia perfettamente informato e operativo? Perché sempre Contrada, 80 secondi dopo l’esplosione, telefona a un funzionario del Sisde il cui numero era annotato su un biglietto rinvenuto proprio sul luogo dove gli assassini di Falcone azionarono il telecomando che innescò il tritolo? Perché Gioacchino Genchi, all’epoca dirigente della Polizia esperto di telecomunicazioni, ha dichiarato che il suo gruppo considerava assai fondata l’ipotesi che il commando stragista potesse essere appostato nel castello Ultoveggio e che tuttavia essa era stata lasciata cadere da chi conduceva le indagini al tempo? Perché utenze che facevano capo ad affiliati a Cosa nostra avevano avuto prima della strage contatti con gli uffici del Cerisdi, ente regionale in realtà copertura del Sisde con sede nel castello? Perché nonostante Genchi individui da subito tutte queste connessioni, viene trasferito ad altre indagini? Sono tutti interrogativi rimasti senza soluzione: difatti dodici anni tra inchieste e processi hanno portato solo alla condanna degli autori materiali delle stragi, ma i “mandanti esterni” sono rimasti senza volto, benché la magistratura ne abbia accertato l’esistenza..
C’è solo lo sguardo sulla faccia di Salvatore Borsellino, uno sguardo che è il prodotto di una vicenda devastante, rimasta senza verità né giustizia, che ha ridotto il volto alla sua essenzialità, l’impegno civile alla semplice evidenza della propria dignità, i discorsi alla cruda forza della consapevolezza, senza mai un accenno di enfasi o di protagonismo. Borsellino urla, letteralmente, un appello al risveglio civile, a riscoprire la rabbia, la responsabilità, l’orgoglio, contro un sistema capillare del potere mafioso che ha confiscato il Paese. Ripercorre la vicenda del fratello, l’abnegazione con cui lavorava, confortato da una profonda fiducia nella possibilità per la società italiana di svegliarsi e riscattarsi; indica nella collusione tra mafia e Stato la causa della sua morte; ci parla a lungo di Manuela Loi, il membro più giovane della scorta; denuncia come un vilipendio alle istituzioni e allo Stato che indagati nei processi per mafia, o quelli che lui è convinto siano i mandanti esterni della morte del fratello, occupino quelle istituzioni.
“E io vi racconto queste cose non per farvi commuovere, non per farvi piangere, perchè non è tempo di piangere, è tempo di reagire, di lottare, è tempo di resistenza!
È tempo di opporsi a un governo che ci sta consegnando un paese senza futuro per i nostri ragazzi. E la colpa è nostra, è nostra perché lo abbiamo permesso.
Abbiamo permesso di arrivare a un punto tale per cui Francesco Cossiga, durante le proteste studentesche di questi mesi contro i tagli all’istruzione, ha potuto proporre di fare come nel '77 (quando lui era Ministro dell'Interno, ndr.): infiltrare il movimento studentesco, aizzarlo verso la violenza, e augurarsi che ci scappi il morto per giustificare una repressione violenta! (“Il suono delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle sirene della polizia” aveva dichiarato in un intervista9)
La recirpoca tolleranza tra Stato e mafia: questo è il vero motivo per cui oggi si vuole togliere ancora un'arma (le intercettazioni, ndr) a quella parte sana di Stato che ancora è rimasta. Questo è il motivo per cui ancora oggi si uccidono i magistrati, anche se in modo diverso. Ieri uno di loro mi ha detto: ‘Avrei preferito essere ucciso col tritolo come tuo fratello, piuttosto che giorno per giorno, come stanno facendo. Chi oggi combatte la criminalità organizzata non viene più ucciso col tritolo, viene ucciso in maniera tale che la gente non se ne accorga neanche, che la gente non reagisca. Hanno imparato dalla lezione del '92, (quando gli attentati a Falcone e Borsellino generarono una reazione travolgente e sorprendente dell'opinione pubblica), quando tanti segnali mi fecero credere di poter sentire quel “fresco profumo della libertà”, di cui parlava Paolo, “che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”10. Tanto che io arrivai a pensare che se Dio aveva voluto far morire Paolo perchè davvero il nostro paese potesse cambiare, bè, allora ero felice della sua morte. Perchè questo era il sogno di Paolo e Paolo sarebbe stato felice di sapere che era morto per questo.
Mentre oggi, guardando il baratro in cui siamo precipitati, ringrazio Dio che sia morto perchè cosi non sono costretto a vederlo uccidere nel modo in cui stanno uccidendo De Magistris, Apicella, Forleo.
Quel puzzo oggi ci sta sommergendo, sta sommergendo la nostra vita e le nostre istituzioni.
E adesso Mancino (ex Ministro dell’Interno, ora Vice-Presidente del CSM) non mi può venire a dire di non aver incontrato Borsellino il 1° Luglio '92, quando sicuramente gli è stata prospettata quella scellerata trattativa tra Stato e criminalità organizzata per la quale è stato ucciso! Perchè Paolo non può che essersi messo di traverso a questo venire a patti con la criminalità, con chi poco più di un mese prima aveva ucciso quello che era veramente suo fratello, Giovanni Falcone!11
Hanno adottato una tecnica raffinata, ci hanno infilato in acqua che si riscalda a poco a poco, così la gente non si accorge del punto a cui arriviamo. Attenti, stiamo precipitando in un baratro e da questo baratro dobbiamo uscire! Perchè lo dobbiamo a questi morti, lo dobbiamo a Giovanni Falcone, lo dobbiamo a Paolo Borsellino, lo dobbiamo a Manuela Loi… Dobbiamo riappropriarci del nostro Paese! Questo Paese è nostro! Lo Stato siamo noi! Non queste persone che indegnamente occupano le istituzioni. L'unica cosa che ci resta da fare per non cadere in un regime dal quale non ci potremo più districare è questo: resistenza!”. Resistenza. Reistenza. Resistenza. Lo ripete tre volte, sempre più forte, l’ultima è un grido lungo e rauco, che quando si spegne ci lascia completamente smarriti, in un silenzio assoluto.

È in questa atmosfera immobile ed emozionata che si fanno avanti timidamente due giornalisti calabresi, Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio, autori di un libro, “La società sparente” che fa luce sul potere di ricatto su cui si basa la forza della ‘ndrngheta in Calabria. Nel loro racconto il senso dell’art 1 della nostra Costituzione prende forma in tutta la sua concretezza: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Quel lavoro che, assicurando dignità e libertà, si fa veicolo di democrazia. Mentre quando costituisce l’oggetto di un ricatto diventa tramite del sopruso, del potere immobile, della cultura dei privilegi e dell’elemosina anziché delle responsabilità e dei diritti.

Quando la Alfano presenta l’ospite successivo parte una specie di standing ovation. Difficile credere, per un visitatore straniero, che si faccia tutto questo chiasso per quell’omino laggiù. La figura allampanata, i capelli sconclusionati, la faccia trasparente… c’è Marco Travaglio! Marco Travaglio è un grafomane che vive seppellito tra carte processuali, sentenze, archivi giudiziari (una volta in un video ho visto il suo studio: un’immagine agghiacciante, temo indelebile) e ne riemerge un paio di volte l’anno con un nuovo tomo da pubblicare, che di solito racconta le malefatte della nostra classe dirigente, per come emergono dai processi.. Che sarebbe l’occupazione naturale di un cronista giudiziario. Altrove. In Italia è un passatempo abietto da giustizialista. Giustizialista sarebbe una parola senza senso. Altrove. In Italia indica il pervertito che reclama una legge uguale per tutti, e dunque che il controllo di legalità si eserciti anche sulla classe politica (se è un cittadino), o che denuncia quando ciò non avviene (se è un giornalista). In entrambi i casi un atteggiamento chiaramente eversivo e indecente. Il giustizialismo in Italia ha un volto: quello di Marco Travaglio, in quanto i politici lo accusano di avere tale psicosi ogni volta che parla di loro. Non una definizione, che risulterebbe molto più problematica e imbarazzante da fornire. Come definire infatti il giustizialista? Chi vuole troppa giustizia? E a quando il democratista? (Mi permetto il sarcasmo perché scrivo per dei Francesi, in Italia parlare per paradossi rischia sempre risvolti imprevedibili).
Il giornalista ripercorre la vicenda delle indagini di Salerno e delle reazioni istituzionali al loro progredire. Che è il principale motivo per cui siamo qui: la manifestazione è stata indetta per solidarizzare col procuratore Apicella, appena sospeso dal CSM, e con i suoi collaboratori Nuzzi e Verasani, che sono stati invece trasferiti. Ma Tutto inizia con le indagini che il PM Luigi De Magistris conduce negli ultimi tre anni e che illuminano i rapporti tra criminalità, politica e imprenditoria in Calabria, e un sistema di potere fondato sulla corruzione nella pubblica amministrazione. Esse sono:
- La Poseidone: sui depuratori che si dovevano fare in Calabria, già finanziati dall'Unione Europea con 800 milioni di euro, senza che ad oggi se ne sia mai visto uno. L’indagine gli viene tolta dal suo procuratore capo, Lombardi, non appena indaga l'On. Pittelli, senatore di Forza Italia. Pittelli è avvocato del procuratore capo, amico del procuratore capo, socio in affari col figliastro del procuratore capo.- La Why Not: sui soldi stanziati dallo Stato e dall'Europa per l'informatizzazione e il lavoro interinale in Calabria, arraffati dai soliti comitati d'affari. L’inchiesta, oltre a vari faccendieri, ex piduisti, ufficiali dei servizi segreti e della Guardia di Finanza, qualche mafioso, ha come principale imputato l’inprenditore Antonio Saladino, capo della Compagnia delle Opere. Costui avrebbe intessuto una rete di reciproci favori con una lobby trasversale di uomini politici di tutti i colori, che comprende anche Mastella, l’allora Ministro della Giustizia, segretario dell’UDEUR (un partito piccolo ma con una rappresentanza che cresce esponenzialmente quando si parla di vicende giudiziarie). Mastella da mesi sa che De Magistris sta lavorando su affari in Calabria che lo riguardano: persino i giornali hanno scritto che ci sono delle telefonate tra il Ministro e alcuni imputati, come Saladino, il piduista Bisignani e altri. Dopo aver saputo che stanno lavorando sulle sue telefonate, e che quindi è imminente la sua iscrizione nel registro degli indagati, si precipita al CSM e come Ministro della Giustizia chiede di trasferire urgentemente De Magistris. Ma nel frattempo, nell'ottobre del 2007, De Magistris si vede togliere anche questa indagine, dal procuratore generale Dolcino Favi, con una motivazione molto spiritosa: dato che Mastella gli ha mandato gli ispettori e poi ha chiesto al CSM di trasferirlo, De Magistris si troverebbe in conflitto di interessi se continuasse a indagare su Mastella. Non è mica Mastella, indagato nell’inchiesta, ad essere in conflitto di interessi quando manda gli ispettori e chiede di trasferire De Magistris!
- Gli resta solo Toghe Lucane, sui comitati politico-affaristico-giudiziari in Basilicata. Coinvolge, oltre a moltissimi magistrati della Basilicata, addirittura un ex membro del CSM nonché sindaco di Matera. Intanto il Csm dà seguito alla richiesta avanzata, dopo quelle ispezioni ordinate da Mastella alle quali accennavamo, dal Procuratore Generale della Cassazione e trasferisce De Magistris da Catanzaro a Napoli, ma quando ciò avviene ormai Toghe Lucane è conclusa. De Magistris invia l’avviso di chiusura delle indagini, l’atto a decorrere dal quale gli indagati hanno 20 giorni per chiedere un supplemento istruttorio, dopo di ché si possono inviare le richieste di rinvio a giudizio e un pm ha terminato il proprio lavoro in un’inchiesta. Bene, gli impediscono di restare anche solo quei venti giorni in più per poter scrivere le richieste di rinvio a giudizio. Lo cacciano da Catanzaro, fisicamente, un attimo prima che sia riuscito a scriverle.Nessuna, quindi, di tre indagini clamorose si è conclusa con la firma di De Magistris.
Dopo che gli vengono avocate le inchieste, poiché la procura di Salerno è quella competente a indagare sui reati commessi da magistrati di Catanzaro, arriva a Salerno una processione di inquisiti, superiori, colleghi di De Magistris, che vogliono denunciarlo per presunte scorrettezze da lui commesse durante le sue indagini. Ma a Salerno si presenta anche lo stesso De Magistris, che denuncia a sua volta i sui superiori e alcuni suoi imputati, per averlo, a sua detta, isolato ed espropriato delle sue inchieste. I magistrati di Salerno, ricevute queste denunce di De Magistris e contro De Magistris, iniziano ad indagare.
A un certo punto vengono sentiti dal Consiglio Superiore, la prima volta quindici mesi fa, l'altra pochi mesi dopo, perché il CSM deve decidere sulla famosa richiesta di trasferimento di De Magistris, avanzata dal procuratore generale della Cassazione in seguito alle ispezioni ministeriali. Il CSM valuta i profili disciplinari, deontologici e di incompatibilità, non quelli penali: se ad esempio un PM è in condizioni di incompatibilità nella procura in cui si trova, non per sua colpa ma magari perché è parente o amico di qualche indagato o di qualche avvocato, o ne ha ricevuto qualche favore, spetta al CSM trasferirlo per incompatibilità ambientale; oppure avviare un procedimento disciplinare nel caso in cui un magistrato, pur non colpevole di reati, abbia commesso delle scorrettezze deontologiche. In quel momento il CSM non è chiamato a valutare se questi profili sussistessero solo a carico di De Magistris, ma anche dei suoi colleghi di Catanzaro. Quindi sente i magistrati di Salerno per capire che cosa sta emergendo nelle loro indagini.E quello che raccontano è clamoroso: dicono che le denunce contro De Magistris si sono rivelate totalmente infondate e quindi saranno archiviate; che l'iscrizione di Mastella sul registro degli indagati era doverosa; che De Magistris è stato costretto a lavorare "in un contesto giudiziario fortemente condizionato da interessi extragiurisdizionali, talvolta illeciti, perché ci sono magistrati legati ad avvocati, imputati, che poi ricevono dei favori, moltissimi favori” (per esempio Saladino, il principale indagato di Why Not, ha fatto assumere amici e parenti dei magistrati di Catanzaro nelle sue società); che da mesi la procura di Salerno chiedeva a quella di Catanzaro la copia degli atti delle indagini Why Not, per verificarne l'eventuale insabbiamento, vedendosela illegittimamente rifiutare (non si può rifiutare di esibire un atto che una procura competente chiede). Insomma, le denunce fatte da De Magistris, al contrario delle altre, si sono rivelate fondate: esiste un sistema di potere, un comitato trasversale, un network di persone che dovrebbero controllarsi le une con le altre e che invece intrattengono rapporti idilliaci e si coprono a vicenda. E quando arriva qualche magistrato che sta fuori dal network, libero e indipendente, si coalizzano per fare in modo che se ne vada. è ciò che hanno fatto con De Magistris.Ci si aspetterebbe che il CSM prenda atto del fatto che la procura competente ha stabilito che De Magistris si è comportato correttamente. Il CSM se ne infischia e lo trasferisce con dei cavilli burocratici.In secondo luogo, fermo restando che è la procura di Salerno che deve occuparsi degli eventuali reati dei magistrati di Catanzaro, ci si aspetterebbe che il CSM prenda immediate disposizioni disciplinari o quantomeno disponga qualche trasferimento, di fronte a condizioni così eclatanti di incompatibilità, per non parlare del rifiuto di far visionare gli atti richiesti.
Invece lascia tutti al loro posto (salvo De Magistris, l’unico non incompatibile).
Arriviamo al 3 dicembre 2008. Dopo sette mesi che chiede inutilmente copia degli atti su Why Not con le buone, la procura di Salerno va a prenderseli con la polizia giudiziaria: sequestra gli atti e comunica a un bel po' di magistrati calabresi che sono indagati per il mega-complotto ipotizzato contro il loro collega.
L’accusa che motiva il decreto è di “corruzione in atti giudiziari”, in sostanza di essersi venduti le indagini di De Magistris in cambio di favori. De Magistris sarebbe stato privato delle sue inchieste perché venissero date a colleghi più malleabili, che con i soliti giochi di prestigio (stralci, archiviazioni, parcellizzazione del materiale ecc…), avrebbero insabbiato tutto. Ma c’è spazio anche per abuso, falso e favoreggiamento. I magistrati coinvolti sono ben sette.
Scrivono i PM di Salerno, in un decreto di perquisizione di 1700 pagine, dunque perfettamente motivato, che il procuratore Lombardi e il suo aggiunto Murone, hanno revocato a De Magistris l'inchiesta Poseidone solo perché era stato indagato il senatore Pittelli, e che dopo avergliela tolta l’hanno fatta stagnare per molti mesi; che tale inchiesta è stata volutamente disintegrata dai magistrati che sono stati chiamati a occuparsene dopo; che l'altra inchiesta avocata a De Magistris, la Why Not, gli viene tolta dal procuratore generale Dolcino Favi solo in quanto coinvolge Mastella, e che il fascicolo viene poi dato ad altri pubblici ministeri che, dolosamente, spezzettano il quadro complessivo dell'accusa, lo parcellizzano e lo polverizzano; che uno dei protagonisti di questo esproprio dell'indagine, il procuratore aggiunto Murone, si è visto assumere dei parenti da Saladino (si fanno i nomi di un cugino e un protetto di Murone che lavorerebbero con la Why Not dell’imprenditore); che Pittelli, indagato anche nella Why Not oltre che nella Poseidone, ha fatto favori -come abbiamo visto prima- al figliastro del procuratore Lombardi; che il solito trio Favi-Murone-Lombardi, dopo aver tolto l'indagine a De Magistris, ha anche revocato l'incarico al suo consulente informatico-telefonico, il famoso Genchi, il mago degli incroci dei tabulati telefonici, per non rischiare - scrivono i magistrati nell'accusa– che scoprisse qualcosa anche senza De Magistris; che gli hanno mandato pure il Ros dei Carabinieri a portar via un pezzo del suo archivio, con risultati dannosi per l'inchiesta. Quanto ai magistrati che sono subentrati a De Magistris dopo la sua revoca -il nuovo procuratore generale Iannelli, i due PM che si sono occupati dell'inchiesta Poseidone, e Favi-, sono accusati di abuso, falso e favoreggiamento, perché avrebbero indagato, tramite il Ros dei Carabinieri, sul consulente Genchi, senza iscriverlo nel registro degli indagati, dunque acquisendo illegalmente informazioni sul suo lavoro; lo avrebbero fatto con la volontà precostituita di dimostrare falsamente che Genchi commettesse dei reati nelle sue indagini per conto di De Magistris; alla fine, tutto questo sarebbe servito a chiedere l'archiviazione della posizione di Mastella. E infatti nell'indagine Why Not, dopo l’avocazione, la posizione di Mastella viene stralciata e si chiede e ottiene l'archiviazione. Ma i magistrati di Salerno scoprono che nella richiesta di archiviazione al Gip i pm subentrati a De Magistris non mettono tutte le carte disponibili a carico del Ministro: se ne tengono alcune e ne mandano soltanto una parte al GIP che dunque archivia perché non ha il quadro complessivo. Inoltre sono accusati di aver tralasciato una serie di indagini che, se approfondite, avrebbero potuto portare la posizione di Mastella in condizioni più critiche rispetto a quelle già emerse (ci sono tutte le testimonianze dei consulenti, oltre a Genchi anche il consulente contabile, Sagona, i quali denunciano che i magistrati subentrati a De Magistris non gli consentivano di approfondire le piste che loro ritenevano promettenti).
In realtà i pubblici ministeri che hanno preso Why Not e Poseidone sono tutti accusati di favoreggiamento nei confronti di una lunga serie di politici e personaggi di livello nazionale: è un fatto che i nuovi arrivati hanno fatto archiviare e prosciogliere tutti i politici e i personaggi nazionali concentrandosi soltanto su alcune figure locali.Avviene dunque l’incriminazione e la perquisizione. In tutta risposta Iannelli, il procuratore generale di Catanzaro, se ne va in TV a strillare che l'atto di Salerno è eversivo, ordina il contro-sequestro degli atti che gli sono stati appena sequestrati e incrimina i colleghi di Salerno. Ma non può farlo: sui magistrati di Catanzaro indaga Salerno, ma su quelli di Salerno indaga Napoli. Non sono possibili competenze incrociate, che comporterebbero la situazione paradossale (paradossale fino a ieri) di un indagato che indaga sul suo indagatore. Se a Catanzaro ritenevano che la perquisizione fosse illegittima l’unica via lecita era appellare il decreto di sequestro presso il Tribunale del Riesame di Salerno; se poi ritenevano che i PM di Salerno si fossero macchiati di reati, potevano solo chiederne l’incriminazione alla Procura di Napoli.
Vi è a questo punto una fulminea reazione del Quirinale, che non ha precedenti: il Capo dello Stato richiede alla procura di Salerno di inviargli gli atti appena sequestrati, giustificando questa iniziativa così inedita (non si era mai visto il Capo dello Stato che chiede degli atti a una procura, per giunta che non ha violato la legge) con la necessità di “conoscere meglio una vicenda (la perquisizione) senza precedenti che presenta profili di eccezionalità, con rilevanti, gravi implicazioni, primo tra tutti quello di determinare la paralisi della funzione giudiziaria processuale” (la Why Not era pendente presso l’ufficio di Catanzaro, languendo da mesi, e il sequestro l’avrebbe interrotta per ben due giorni!). Sono motivazioni francamente oscure: una perquisizione su una procura non è, grazie al cielo, un atto senza precedenti, i magistrati sono soggetti alla legge come tutti gli altri cittadini, quindi esposti a qualunque provvedimento giudiziario se sospettati di reati; e appare quantomeno sproporzionata l’apprensione del Capo dello Stato per questo stallo di due giorni (il tempo necessario a fotocopiare gli atti di Why Not e di restituirli) in un Paese in cui i processi durano dieci anni.
Il titolo che campeggiava il giorno dopo su tutti i giornali è "Guerra fra procure", "Guerra fra PM", "Scontro fra procure”, “Scontro tra PM”, seguito dal sottotitolo ”Interviene Napolitano", la prima riga a giustificare la seconda: se c'è effettivamente una guerra fra bande, se davvero Salerno e Catanzaro stanno sullo stesso piano e se le suonano vicendevolmente, ben venga l'intervento dei pompieri, alias Quirinale e Consiglio Superiore della Magistratura. Nel decreto di perquisizione emergono elementi scandalosi. Ma i giornali non accennano neppure ai fatti che emergono da tale decreto, bensì si dilungano sulla “guerra tra procure”. Che non esiste: perché da una parte c'è un atto legittimo della procura di Salerno, al quale si risponde, dall’altra parte, con atti abusivi e abnormi da Catanzaro.
Apoteosi finale: il CSM nel giro di 24 ore – prodigiosa la capacità dimostrata, di leggersi 1700 pagine in 24 ore - valuta il tutto e propone al plenum di trasferire sia il procuratore generale di Catanzaro, sia quello di Salerno. Pari e patta. Guerra fra procure.
Tre settimane fa si aggiunge al coro il ministro Alfano: ha chiesto al CSM di cacciare dalla magistratura (non di spostare in un altro ufficio, proprio di cacciare dalla magistratura) il procuratore capo di Salerno, Apicella, e di levargli lo stipendio subito; ha chiesto ancora di trasferire ad altra sede i due magistrati che hanno materialmente condotto l'inchiesta, Verasani e Nuzzi. Nel motivare questa gravissima sanzione, il ministro scrive che Apicella e i sostituti Nuzzi e Verasani si sono macchiati di “assoluta spregiudicatezza, mancanza di equilibrio e atti abnormi nell'ottica di una acritica difesa del PM De Magistris con l'intento di ricelebrare i processi che sono stati a lui avocati”.I giornali hanno registrato con ampio risalto queste motivazioni del ministro. Senza ricordare ai lettori alcuni elementari principi: può il ministro della giustizia scrivere quello che ha scritto? E' mai successo? No. La verità è che non esiste nella storia dell'Italia unita, né repubblicana né monarchica, un atto del genere. Il ministro sta sindacando il contenuto, il merito, di un provvedimento giudiziario. Lo può fare il ministro? No. Se spettasse al ministro stabilire se è giusto o non è giusto quello che hanno ipotizzato nelle loro inchieste i magistrati, vorrebbe dire che ogni volta che un giudice fa una sentenza che non piace al governo, o che un Pubblico Ministero fa un'ipotesi investigativa che non piace al governo, quel giudice viene mandato via, o viene trascinato davanti al Consiglio Superiore. Sarebbe gravissimo se il vaglio delle inchieste fosse affidato al ministero della giustizia, cioè al governo, cioè alla maggioranza politica e non, invece, ai regolari gradi di giudizio.
L'unico organo abilitato a dichiarare illegittimo, spregiudicato, privo di equilibrio, abnorme, acritico quel decreto di perquisizione, era il Tribunale del Riesame di Salerno. E cosa ha fatto il Tribunale del Riesame di Salerno? Ecco, questa è la notizia che, al contrario degli anatemi di Alfano, i giornali non hanno riportato: alcuni imputati, a cominciare dall'ex procuratore Lombardi, il senatore di Forza Italia Pittelli, Antonio Saladino ecc, hanno fatto ricorso al Riesame per chiedere l'annullamento del decreto di perquisizione; bene, lo stesso giorno in cui in ministro Alfano emette il suo atto di incolpazione, il Tribunale del Riesame di Salerno respinge i ricorsi dei quattro indagati, li condanna a pagare le spese processuali e dichiara fondato, legittimo, impeccabile il provvedimento di sequestro, confermando i presupposti di legittimità e di merito.
È una notizia clamorosa, in quanto contraddice la valutazione espressa quello stesso giorno dal Ministro della giustizia, nonché le posizioni assunte sia dal Presidente della Repubblica sia dal CSM. Ma di questo nessun quotidiano, la mattina dopo, fa il minimo cenno, mentre riporta pedissequamente le accuse indebitamente avanzate da Alfano.
Il 19 gennaio, nonostante la sentenza del Riesame, il CSM sospende Apicella dalle funzioni e dallo stipendio e ordina il trasferimento dei suoi due PM, Nuzzi e Verasani. Per via di un provvedimento che l'unica sede legittima per valutarlo, il Riesame, ha confermato in toto.
Sul versante di Catanzaro, si limita a trasferire il procuratore generale Jannelli e il suo sostituto (nulla a che vedere con la sospensione), lasciando al loro posto, invece, i pm Domenico de Lorenzo e Salvatore Curcio., attuali titolari di Poseidone e Why not.
“C'è un decreto di sequestro? se uno non lo ritiene fondato si rivolge al Tribunale del Riesame, non al Ministro della Giustizia,, al Capo dello Stato, al CSM o all'opinione pubblica, come ha fatto Iannelli. Anche perché sono pochi i cittadini con un Ministro, un Capo dello Stato o un Parlamento a portata di mano, che possa saltar fuori all’occorrenza per contestare provvedimenti del giudice che a quei cittadini non sono piaciuti. È una cosa che possono permettersi in pochi e quindi che non si può fare. Il Riesame ha bocciato il ricorso? In uno stato di diritto a questo punto la partita è chiusa. O meglio. Può continuare impugnando la sentenza del Riesame davanti alla Cassazione. Ma questi signori hanno la fortuna di avere la scorciatoia e quindi, anche per non rischiare una seconda batosta dalla Cassazione, vanno a frignare dal Ministro. Qui si stanno mettendo i discussione i principi dello stato di diritto”. Travaglio conclude paragonando la storia di questo anno e mezzo a quella dei “Dieci piccoli indiani”: prima viene cacciato il Vescovo Bregantini perché denuncia certi malaffari tra politica e malavita.
Poi viene esautorato il Pubblico Ministero De Magistris: gli tolgono le inchieste, poi tolgono lui.
Poi tolgono i suoi consulenti, uno dopo l'altro.
Poi cacciano il capitano Zaccheo, il carabiniere che collaborava con De Magistris e che viene trasferito in Abruzzo.
Poi cacciano la Forleo che è andata in televisione a difendere De Magistris.
Poi il Corriere della Sera non fa più scrivere sul caso De Magistris Carlo Vulpio, che ci lavorava da un anno e che quindi qualcosa ne capiva. Certo non avrebbe scritto, la mattina dopo il suo sollevamento, di “Guerra tra procure”.
Poi i magistrati di Salerno scoprono che De Magistris potrebbe avere ragione. Ecco, De Magistris Non Può Avere Ragione. E cacciano pure i magistrati di Salerno.
Adesso vedremo se cacceranno i tre giudici del Riesame che hanno appena confermato l'ordinanza. Ma pare si sia scelta una via più semplice: non si parla dell’ordinanza. E di questa ordinanza nessuno, nella televisione o nella stampa, ha parlato.
I fatti vengono inanellati da Travaglio accuratamente, pacatamente, senza mai alzare la voce: basta il loro accostamento nella logica successione (un lavoro che tg i giornali nazionali hanno tralasciato, meglio non creare inutili preoccupazioni) per farne comprendere la portata allarmante. Quando finisce di parlare io e il mio vicino, che non ci conosciamo, ci scambiamo uno sguardo angosciato.

Questo signore esile e misurato, improbabile eroe del giustizialismo italiano, viene sostituito sul palco da un omone energico dalla gesticolazione incontenibile: Carlo Vulpio è un uragano. Il cronista giudiziario che da due anni seguiva le inchieste di De Magistris e poi dei pm di Salerno come inviato del Corriere della sera, non ha evidentemente mandato giù quello che gli è appena capitato. Quando scatta la contro-perquisizione da Catanzaro contro Salerno, può avvenire che tutti i giornali escano con titoli identici (“Guerra tra procure”) anche perché Carlo Vulpio, la sera prima, è stato rimosso dal suo incarico. Scrive sul suo blog:
“E’ stato la sera del 3 dicembre, dopo che sul mio giornale era uscito un mio servizio da Catanzaro sulle perquisizioni e i sequestri ordinati dalla procura di Salerno.
Come sempre avevo “fatto i nomi”. E cioè, non avevo omesso di scrivere i nomi dei magistrati, politici e imprenditori che comparivano nel decreto di perquisizione, non più coperti da segreto istruttorio: per esempio, Nicola Mancino, vicepresidente del CSM, Mario Delli Priscoli, procuratore generale della Corte di Cassazione, Simone Luerti, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Con una telefonata, il giorno stesso dell’uscita del mio articolo sono stato sollevato dall’incarico.
(…) La “guerra” fra procure non è altro in realtà che un corto circuito messo in atto da indagati che indagano sui loro indagatori, affinché, rovesciato il tavolo e saltate per aria le carte, non si sappia più chi ha torto e chi ha ragione perché, appunto, “c’è la guerra”. E dopo la “guerra”, ecco la “tregua”. Così, banalmente ma non meno consapevolmente, hanno riportato la vicenda tutti i giornali, salvo rarissime eccezioni di singoli commentatori. Guerra e tregua. E’ questo il titolo dell’ultima, penosa sceneggiata italiana su una vicenda che è la “nuova Tangentopoli”.

È la volta di Antonio di Pietro, l’ex- magistrato simbolo di Mani Pulite, l’inchiesta che fece esplodere Tangentopoli portando alla luce nei primi anni '90 un sistema di potere politico a livello nazionale fondato sulla corruzione. Oggi è il leader dell’Italia dei Valori, il partito che si è opposto più caparbiamente alle riforme ad personam in campo di giustizia e informazione. Temperamento sanguigno, tendenza a sbracciarsi e ad accalorarsi quando parla, anche se nessuno lo provoca, rapporto tormentatissimo con i congiuntivi, di Pietro ha combattuto le politiche del Premier con un rustico buon senso che, a parere di molti, si è rivelato più utile contro Berlusconi dei contorsionismi machiavellici degli esponenti del PD. Denuncia, sempre sbracciandosi, il tentativo dei membri della classe politica di difendersi dai processi anziché nei processi: “è un’idea medievale, da Don Rodrigo, che offende lo stato di diritto!”. Ma soprattutto si scaglia contro il DDL sulle intercettazioni in discussione alla camera, che renderà difficilissimo disporre di questo cruciale strumento di indagine. La spiegazione del DDL occupa più o meno tutto il suo intervento, ma siccome alla fine rivolge anche una critica, o un invito, al Capo dello Stato e sarà questo ad occupare tra poco tutti i giornali, riporto testualmente questa parte del suo discorso (avviso per i fanatici della grammatica: sarà doloroso):
“Vorrei lanciare un appello al Presidente della Repubblica. Signor Presidente, lo sa che qui, ancora una volta, si sta cercando di farci lo scherzetto che ci è stato fatto a Piazza Navona? Credo che in modo civile si possa avere il diritto di manifestare. Si può non essere d’accordo su quel che abbiamo fatto e stiamo facendo, ma è un nostro diritto, garantito dalla Costituzione, poter dire che ciò che fanno determinate persone non ci convince? E possiamo permetterci, Signor Presidente della Repubblica, di accogliere in questa piazza anche qualcuno di noi che non è d’accordo su alcuni suoi silenzi? (Si riferisce al fatto che a dei manifestanti la polizia aveva fatto rimuovere uno striscione con la scritta “Napolitano dorme, l’Italia insorge”). Possiamo permetterci o no? O siamo degli eversivi? Siamo dei cittadini normali che ci permettiamo (sic!) di dire a Lei, Signor Presidente della Repubblica, che dovrebbe essere l’arbitro, che a volte il suo giudizio ci appare poco da arbitro e poco da terzo. Noi non vogliamo fare alcuna… noi la rispettiamo! Noi abbiamo un senso delle istituzioni! E allora se un cittadino qui ha messo uno striscione, avrà diritto di mettere sto’ striscione, senza offendere nessuno, in cui dice Napolitano dorme, l’Italia insorge”? Perché gliel’hanno sequestrato? Perché non c’è possibilità di manifestare? Di manifestare senza bastoni… senza nulla! Stiamo semplicemente dicendo che non siamo d’accordo sul fatto che si lasci passare il lodo Alfano, che non siamo d’accordo sul fatto che si criminalizzino le persone che fanno il loro dovere, che non siamo d’accordo sull’oblio che hanno le istituzioni nei confronti di questi familiari delle vittime, che non siamo d’accordo nel vedere terroristi che vanno a fare gli insegnanti,i saputoni e poi vediamo le vittime del terrorismo e della mafia che vengono dimenticate e abbandonate a se stesse. Lo possiamo dire o no? Rispettosamente! Rispettosamente! Ma il rispetto è una cosa, il silenzio è un’altra: il silenzio uccide, il silenzio è mafioso, il silenzio è un comportamento mafioso. Ecco perché non vogliamo rimanere in silenzio".

Quando il comico Beppe Grillo, che non può mettere piede in televisione dal 1986 ma ha un blog che è il più visitato in Italia e uno dei più visitati al mondo (oltre 500.000 accessi giornalieri), inizia a parlare, appare incerto, inibito, un elefante in una cristalleria: nel luglio scorso, partecipando a una grande manifestazione indetta contro la legge blocca-processi, la riforma delle intercettazioni e il lodo Alfano, chiamò il Presidente della Repubblica “Morfeo”, perché lo giudicava troppo arrendevole nel firmare le leggi incostituzionali del governo. In un Paese dove un Premier diede all’allora Presidente della Repubblica Scalfaro del serpente, del traditore e del golpista12 , quella battuta pronunciata da un comico suscitò un putiferio, delegittimando l’intera manifestazione e facendone passare in secondo piano i contenuti. Evidentemente non vuole correre lo stesso rischio.
Ci lancia uno sguardo ecumenico: “"Ragazzi, siamo i grandi perdenti! Siamo i perdenti, guardatevi in faccia: dove vogliamo andare con queste facce? Da nessuna parte!” Tondo e rimbalzante, le mani svolazzanti, dipinge infervorato le opportunità di controllo dal basso sulla politica offerte da internet, delle liste civiche nei comuni, parla della rivoluzione mancata delle energie rinnovabili…i suoi punti forti. Denuncia l’autoritarismo strisciante che si disvela quotidianamente: “Maroni (Ministro dell’Interno) ha dato disposizione di non fare più assemblee nelle piazze. Non si potranno più fare manifestazioni ‘nelle piazze dove ci sia una chiesa’. Praticamente in tutte le piazze d'Italia c'è una chiesa! E dove non c'è una chiesa ci faranno delle madonnine nascoste nell'angolo. Maroni, che manda la polizia nelle scuole, manda la polizia in antisommossa contro i cittadini! Maroni! Che è stato condannato in via definitiva per oltraggi a pubblico ufficiale. Pensate! Lui era contro la polizia in una manifestazione, è caduto per terra e ha preso la caviglia di un poliziotto E L’HA MORSICATA!!!13
Abbiamo un ministro degli interni che morsica le caviglie ai poliziotti! Quando i poliziotti vedono Maroni hanno paura, si mettono degli anfibi lunghi fino qua!Noi siamo in un Paese in delirio, stiamo delirando con l'economia, con la giustizia… Italiani! Oggi la mafia è stata corrotta dallo Stato!” Poi assume una posa meditativa da bonzo tibetano: “Non voglio gridare, voglio calmarmi… voglio essere buono… non dire neanche una parolaccia. Non voglio neanche nominare Napolitano, se no poi dicono 'Grillo attacca il Presidente'”.

È la volta di Pancho Pardi. E siccome è un intellettuale intraprende un discorso più ambizioso (io comincio a dare fondo al mio panino). Sottolinea come i conflitti d’interesse di Berlusconi portino come naturale conseguenza una compressione della democrazia: quello in ambito processuale minaccia la possibilità di una giustizia uguale per tutti, che non sia una porta girevole per chi può permettersi di tirare per le lunghe il processo fino alla prescrizione; quello in ambiti mediatico uccide l’informazione e quindi la libertà dei cittadini, che si basa sull’opportunità di fare scelte consapevoli. In un futuro senza giustizia né libertà, ecco la fine della democrazia.

Belle prospettive su cui rimuginare mentre l’8 mi porta a casa. Mi conforto pensando che di gente sfuggita alla lobotomizzazione a reti unificate ce ne deve essere ancora parecchia: la piazza era satura di gente. Un successo. E un’esperienza intensa. Ci voglio scrivere un articolo. Sono così assorta che a stento ricordo di scendere alla fermata giusta.
Arrivo a casa, metto su il caffé, vado in camera, accendo il computer e mi parte un embolo:
“Di Pietro insulta Napolitano: 'Il silenzio è da mafiosi' ”. L’Unità.
“Di Pietro a Napolitano: 'Il silenzio è mafioso' “ L'Occidentale.
“Di Pietro attacca: 'Napolitano dorme' ”. Quotidiano Nazionale.
“Di Pietro contro Napolitano: 'I mercanti fuori dal tempio'” (???) La Voce d'Italia.
Di Pietro attacca Napolitano” Il Tempo, Il corriere.it, Repubblica.it, Il Giornale.it
“Vergogna Di Pietro” Il Riformista
"Di Pietro contro tutti" Skytg24
Questi i titoli delle maggiori testate nazionali nei loro siti web. Dalla lettura degli articoli apprendiamo che a Piazza Farnese si è svolta una manifestazione di Italia dei valori (mentre era organizzata dall’Associazione Nazionale Familiari delle Vittime di Mafia), contro il governo (mentre era per protestare contro la sospensione del procuratore generale di Salerno e il trasferimento dei suoi due PM), nella quale ha parlato solo di Pietro, che non ha fatto altro che insultare Napolitano dandogli del mafioso, il tutto di fronte a “qualche centinaio di persone” (io non ho idea se fossimo davvero 30.000 come sostengono i promotori, ma addirittura qualche centinaio…). Sono stordita. Sapevo che ad informazione non eravamo messi benissimo ma non avevo mai toccato con mano così direttamente a che livelli fossimo arrivati. Adesso ho la prova tangibile che viviamo già in un regime. Dolce, mediatico, ma pur sempre un regime. E sprofondo nel senso di impotenza, perché ho l’impressione di non poterlo dire a nessuno, di fatto. Come far sapere, ad esempio, il grado di disinformazione che c’è stata a chi non era fisicamente presente? Una cosa è farsi raccontare, tutt’altra è toccare con mano. Quelli che non sono già positivamente prevenuti non potranno mai sapere a che livello di autoritarismo siamo già arrivati.
Poi mi viene in mente che, no, potrebbero sapere benissimo. Così come non è necessario conoscere i particolari delle indagini di De Magistris, Forleo, Apicella per sapere che la classe dirigente di questo Paese sta lavorando per sottrarsi a qualunque controllo, non più solo a quello dal basso (perché i partiti controllano l’informazione e quindi l’opinione pubblica), ma anche a quello di legalità: è sufficiente guardare il tempismo formidabile con cui sono stati trasferiti. Non serve conoscere nel dettaglio le vicende processuali di Berlusconi e le date di approvazione delle leggi ad personam (eloquentemente interconnesse) per sapere che il suo conflitto di interessi ha prodotto una giustizia a due velocità: basta guardare l’entità, risibile, delle pene per i reati tipici dei colletti bianchi, e quante volte neppure vengono comminate perché i processi finiscono prescritti. Non serve avere le competenze giuridiche necessarie a capire le implicazioni del progetto di legge sulla separazione delle carriere e sulla riforma del CSM per sapere che si sta mettendo in discussione il principio della separazione dei poteri: basta guardare il livore con cui Berlusconi attacca quotidianamente la magistratura14. Non serve conoscere tutte le leggi incostituzionali che si è visto respingere per sapere che è un analfabeta della democrazia: basta guardare l’arroganza che trasuda dalla sua persona, l’insulto sistematico a qualunque potere di controllo, il vizio di gridare istericamente al comunismo ogni volta che emerge un ostacolo alla sua volontà, o una qualche forma di dissenso. Non serve conoscere tutti i casi di censura, le notizie scomparse, i contenuti delle intercettazioni di telefonate tra dirigenti RAI e politici15 per sapere che la nostra è una televisione da regime: basta guardare l’atteggiamento imperiale e magnanimo che i politici mostrano verso i giornalisti nei talk show, l’assenza totale di satira, il misto stomachevole di volgarità e bigottismo che imperversa nei programmi di intrattenimento…basta vedere chi lavorava prima e chi lavora adesso.
"Io so" era il titolo della manifestazione di oggi. Evoca un famoso testo di Pier Paolo Pasolini, contenuto in “Scritti Corsari”, una serie di articoli del periodo '73-'75:
“Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere.
Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici... Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi -proprio per il modo in cui è fatto- dalla possibilità di avere prove ed indizi.
(…) Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione15 (…) rappresenta un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico (…) è divenuto, appunto, un 'Paese separato'. Un'isola.”












1 La motivazione, abbastanza stravagante, era quella di “dare la precedenza agli altri processi (“Berlusconi è altruista: rinuncia ai suoi processi a vantaggio di quelli altrui”, ironizza una vignetta di Ellekappa su Repubblica). Il decreto avrebbe inevitabilmente comportato la prescrizione del proceso Mills, che era vicino alla sentenza, ma con l’effetto collaterale di bloccare circa 100.000 processi per reati come stupro, sequestro di pesona, estorsione, furto, associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, frodi fiscali, truffa alla Comunità Europea, corruzione, corruzione giudiziaria (…), violenza privata, sfruttamento della prostituzione, immigrazione clandestina (mentrelo stesso governo lanciava anatemi contro i clandestinia reti unificate) e moltissimi altri.

2 Una rete di 64 società e conti off shore del gruppo Fininvest secondo l'accusa avrebbe finanziato operazioni riservate per scalare grandi societý quotate in Borsa senza informare la Consob; per aggirato le leggi antimonopolio tv in Italia e in Spagna, acquisendo il controllo di Telepi˜ e Telecinco; e ancora per pagare tangenti a partiti politici (come la stecca record di 21 miliardi di lire data a Craxi attraverso la societý All Iberian, oggetto del secondo troncone, prescritto grazie alla ex-Cirielli, del processo “Al iberian”). La rete occulta della Finivest-ombra ha spostato, tra il 1989 e il 1996, fondi neri per almeno 2 mila miliardi di lire. Per questo Berlusconi è stato chiamato a rispondere di falso in bilancio. Ma nel 2002 ha cambiato la legge sul falso in bilancio, trasformando i suoi reati in semplici illeciti sanabili con una contravvenzione e soprattutto riducendo, per la parte rimasta reato, i tempi di prescrizione. CosÏ il giudice per le indagini preliminari nel febbraio 2003 ha chiuso l'inchiesta: negando l'assoluzione, poiché Berlusconi e i suoi coimputati ( tra cui Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset) non possono dirsi innocenti; ma decidendo di proscioglierli poiché il tempo per il processo, secondo la nuova legge, è scaduto

3 Sono stati prescritti, sulla base della nuova legge sul falso in bilancio, i 1500 miliardi di lire di presunti fondi neri accantonati 12 dal gruppo Berlusconi su 64 off-shore della galassia All Iberian (comparto B della Fininvest

4 I grado: il reato (10 miliardi versati in nero al Torino Calcio in occasione dell'acquisto del giocatore Luigi Lentini) è stato dichiarato prescritto grazie alla nuova legge sul falso in bilancio

5 Prevede che ogniqualvolta l’imputato chieda il trasferimento del processo per legittimo sospetto sull’imparzialità del suo giudice naturale, questo si blocchi fino a quando la Cassazione non abbia deciso se accogliere o no la domanda problema è che consente in finite istanze di rimessione del processo e dunque infinite sospensioni
6 Ad esempio i giudici non avrebbero più potuto rifiutare prove o testimoni palesemente inutili o non inerenti al processo, la difesa avrebbe potuto impugnare davanti alla Cassazione tutte le ordinanze del tribunale (quelle che decidono sulle questioni preliminari, sull’utilizzabilità degli atti, sulle richieste di prova…), sarebbero diventati più ampi e numerosi i casi in cui scattano incompatibilità o ricusazione di un giudice

7 Si tratta del cosiddetto “processo SME”, dove Cesare Previti è stato condannato in primo e secondo grado per aver corrotto i giudici di Roma nel 1985, processo poi prescritto dopo che la Cassazione aveva annullato le prime due sentenze, non per questioni di merito ma per incompetenza territoriale del tribunale di Milano, e che il processo era pertanto stato spostato a Perugia. IL gip di Perugia motiverà così l’archiviazione: «Un’archiviazione nel merito non è possibile, stanti i numerosi, precisi, riscontrati e incontrovertibili elementi di prova raccolti nel corso delle indagini del tribunale di Milanoo a caricd degli indagati». Dunque «non può farsi altro che constatare l’intervenuta prescrizione di tutti i reati contestati». Per quanto riguarda invece la posizione del coimputato, Berlusconi, accusato di corruzione giudiziaria e falso in bilancio,prima è stata stralciata dal processo principale, in quanto il Lodo Mccanico, approvato in tempo di record, ha sospeso i processi al Premier fino al termine del suo mandato (o sine die, in caso di rielezione o di nomina ad altra carica istituzionale) proprio alla vigilia della sentenza. Dichiarato il Lodo incostituzionale, sette mesi dopo, dalla Corte Costituzionale, il processo riprende ma Berlusconi viene assolto pe falso in bilancio in quanto il reato era nel frattempo stato depenalizzato dalla sua stessa maggioranza, mentre viene assolto (per insufficenza di prove) per la corruzione

7 I pregiudicati in Parlamento sono 25, mentre gli indagati, i condannati in primo e secondo grado con procedimento giudiziario ancora in corso e i miracolati dalla ex-Cirielli sono 82

8 L’ipotesi accusatoria nel processo che si sta tenendo a Palermo contro l’ex capo del Sisde Mario Mori, per favoreggiamento aggravato e continuato a Cosa Nostra, è che dopo la strage di Capaci, in cui morì Falcone, sia stata avviata una trattativa tra Cosa Nostra e settori delle istituzioni che, cedendo alla strategia ricattatoria della mafia, erano disposti a stabilire un nuovo status quo con l’organnizazione criminale per fermare le stragi. Questa trattativa avreebbe avuto come tramiti Mori per lo Stato e Ciancimino, sindaco mafioso di Palermo in quelmomento ai domiciliari, per Cosa Nostra (con tanto di ‘papello’ che il figlio di Ciancimino assicura essere stato passato da suo padre al generale Mori, con le l’elenco delle richieste che la mafia faceva allo Stato per interrompere le stragi: fine dei pentiti, fine del 41bis, fine dell’ergastolo, revisione del maxiprocesso e fine del sequestro dei beni). Sarebbe stata proprio questa negoziazione a provocare l’attentato a Borsellino, simbolo vivente del partito della non trattativa, eliminato in tutta fretta per ordine di Riina affinché non la intralciasse, Il figlio di Ciancimino sostiene infatti che in un incontro del 2 luglio ’92 al Viminale tra Borsellino e l’allora ministro dell’Interno Mancino (oggi Vice-Presidente di quel CSM che ha trasferito de Magistris, la Forleo e i giudici di Salerno), il magistrato era stato informato che c’era in corso una trattativa e si chiedeva il suo consenso Che ovviamente venne rifiutato.

9 Da "GIORNO/RESTO/NAZIONE" di giovedì 23 ottobre 2008
“Bisogna fermarli, anche il terrorismo partì dagli atenei” di ANDREA CANGINI - ROMA PRESIDENTE Cossiga, pensa che minacciando l`uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato? «
Cossiga: Dipende, se ritiene d`essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché l`Italia è uno Stato debole, e all`opposizione non c`è il granitico Pci ma l`evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figuraccia
Giornalista: Quali fatti dovrebbero seguire.
Cossiga: “Maroni (attuale ministri dell’interno, ndr) dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno. In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito…”Giornalista: “Gli universitari, invece?”Cossiga: “Lasciarli fare. Ritirare le forze di Polizia dalle strade e dalle Università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città“.Giornalista: “Dopo di che?”Cossiga: “Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri”.Giornalista: “Nel senso che…”Cossiga: “Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano“.Giornalista: “Anche i docenti?”Cossiga: “Soprattutto i docenti”.Giornalista: “Presidente, il suo è un paradosso, no?”Cossiga: “Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!”Giornalista: “E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? In Italia torna il fascismo, direbbero”.Cossiga: “Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio”.Giornalista: “Quale incendio?”Cossiga: “Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese”

10: “La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.” Tratto da un discorso di Paolo Borsellino ai cittadini siciliani. In una manifestazione in memoria di Falcone.

11 Vi è in proposito la testimonianza del figlio di Ciancimino, nonché l’agenda di Borsellino su cui era annotato l’appuntamento.

12 "Scalfaro è un serpente, un traditore, un golpista" (Silvio Berlusconi, La Stampa, 16 gennaio 1995).

13 è vero.

14 «I giudici sono doppiamente matti! Per prima cosa, perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana». Per citarne soltanto una.

15 Memorabile quella tra Berlusconi, allora capo dell’opposizione, e Saccà, direttore generale della Rai. Berlusconi chiede a Saccà di dare una sistemazione in una fiction a due ragazze spiegando che questo servirebbe per uno scambio di favori con un senatore della maggioranza che lo aiuterebbe a far cadere il Governo Prodi. L'intercettazione proveniva da un'inchiesta della procura di Napoli che vedeva Berlusconi indagato per corruzione.
B: Agostino!
S: Presidente! Buonasera ..come sta ... Presidente...
B: Si sopravvive...
S: Eh .. vabbè, ma alla grande, voglio dire, anche se tra difficoltà, cioè io ... lei è sempre più amato nel paese ...
B: Politicamente sul piano zero ...
S: Si.
B: ... Socialmente, mi scambiano ... mi hanno scambiato per il Papa.. S: Appunto dico, lei è amato proprio nel paese, guardi glielo dico senza nessuna piaggeria ...
B: Sono fatto... oggetto di attenzione di cui sono indegno ...
S: Eh .. ma è stupendo, perchè c'era un bisogno ... c'è un vuoto ... che .. che lei copre anche emotivamente ... cioè vuol dire ... per cui la gente .. proprio ... è cosi ... lo registriamo...
B: E' una cosa imbarazzante ..
S: Ma è bellissima, però
B: Vabbè .. allora?
Saccà illustra a Berlusconi il rischio chela destra perda la maggioranza nel Cda della Rai.
Poi Berlusconi gli commissiona una fiction su Federico Barbarossa “perchè c'è Bossi (capo della Lega Nord,un partito che ha tutto un contorno folkloristico) che mi sta facendo una testa tanto con questo cavolo di fiction di Barbarossa ..
S: Barbarossa è a posto per quello che riguarda .. per quello che riguarda Rai fiction, cioè in qualunque momento ...
B: allora mi fai una cortesia ...
S: si… B: con la Elena Russo non c'era più niente da fare? Non c'è modo...?
S: no .. c'è un progetto interessante .. adesso io la chiamo ..
B: gli puoi fare una chiamata? La Elena Russo; e poi la Evelina Manna. Non centro niente io, è una cosa ... diciamo ... di...
S: chi mi dà il numero?
B: Evelina Manna ... io non c'è l'ho ..
.S: chiamo ..
B: no, guarda su Internet ..
S: vabbè, la trovo, non è un problema ... me la trovo io ..
B: ti spiego che cos'è questa qui ..
S: ma no, Presidente non mi deve spiegare niente ..
B: no, te lo spiego: io sto cercando di avere ...
S: Presedente, lei è la persona più civile, più corretta..
B: allora ... è questione di .. (parola incomprensibile, le voci si accavallano) ....
S: ma questo nome è un problema mio ...
B: io sto cercando ... di aver la maggioranza in Senato ...
S: capito tutto ...
B: eh .. questa Evelina Manna può essere .. perchè mi è stata richiesta da qualcuno ... con cui sto trattando ...…
B: va bene, io sto lavorando in operazione libertaggio .. l'ho chiamata così, va bene?
S: va bene ...
B: va bene .. se puoi chiamare questa signora qui ...
S: la chiamo .. e poi quando ...
B: Evelina Manna ...
S: .. ci vediamo le riferisco ..
B: .. e anche Elena Russo ... grazie, ci sentiamo ..
S: vabbene ... allora arrivederla Presidente ...
B: la settimana prossima ci vediamo ...
S: .. oh .. metta le mani però su sta maggioranza ... perchè veramente io ho rischiato tanto per avere la maggioranza in consiglio ....
B: faccio questo .. anche se ...
S: ... e si è sciolta dopo la set ... abbiamo fatto una figura barbina!
B: va bene ...
S: .. ma non per colpa .. mi creda ... di Urbani ....
B: d'accordo ...
S: Urbani fa altre cazzate ...
B: Si, si va bene!
S: grazie Presidente ..
B: grazie ciao ... ci vediamo la settimana prossima.

15 L’opposizione a cui fa riferimento Pasolini in questo testo e il popolo che si riconosceva nel partito comunista, ma, risalendo gli “Scritti corsari al ’73-75 ed essendo nel frattempo morto il PC, mi sembrava inattuale riportare il riferimento.